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Per un dialogo con Dio

Riflessioni sulla preghiera





Questo studio sulla preghiera riporta integralmente il contenuto del libro "PER UN DIALOGO CON DIO" di GUY APPÈRÉ - Edizioni E. P. - C. P. 20 - Finale Ligure (SV)




Capitolo 3: La natura della preghiera






1. Introduzione

2. Una domanda

3. Una comunione

4. La preghiera e la Parola




1. Introduzione

Anche se non lo abbiamo cercato di proposito, lo studio dei motivi della preghiera ci ha condotti del tutto naturalmente a comprendere quello che essa è: ben di più di un catalogo di necessità e di un elenco di domande, anzi, un condividere, uno scambio, ad un tempo intimo e grandioso, familiare e solenne, un momento felice che dovrebbe prolungarsi senza fine.


Le preghiere più belle che noi troviamo nella Bibbia non sono sempre delle domande rivolte a Dio.

Esse esprimono sovente, sotto forma di esclamazioni, l’ammirazione del fedele davanti a Dio ed alle Sue vie, la Sua scienza e misericordia, la Sua santità.

Sono confessioni, espressioni di sofferenza a causa del peccato o della persecuzione, canti di riconoscenza, sospiri di speranza, sfoghi di amarezza.

Non che la domanda non trovi più posto nella preghiera, anzi! Ma la richiesta, per quanto inevitabile e legittima possa essere, non deve farci dimenticare che la preghiera è comunione.

2. Una domanda

Insistendo sulla necessità della preghiera, Paolo precisa taluni degli aspetti di essa impiegando quattro diverse espressioni: «Io esorto, dunque, prima d’ogni altra cosa, che si facciano supplicazioni, preghiere, intercessioni, ringraziamenti» (1 Tim. 2:1).

Nel suo pensiero, questi diversi termini non hanno forse dei significati molto distinti. È la loro giustapposizione, la loro unione che ha soprattutto importanza e significato: sottolinea con forza il dovere della preghiera.

Sarà tuttavia interessante notare come ciascuna delle parole scelte insista su un aspetto particolare di questo esercizio spirituale.

Il primo, supplicazione, significa una richiesta particolare in rapporto ad una necessità personale.

Il secondo, preghiera, non trova mai impiego se non nel senso di colloquio con Dio. La prima parola si può adoperare per designare una preghiera indirizzata agli uomini, ma non la seconda che è riservata al contatto dell’anima con Dio.

La terza, intercessione, sottolinea più particolarmente il sentimento di confidenza filiale nella preghiera e presenta questa come un intrattenersi familiare del cuore con Dio.

La quarta, infine, ringraziamenti, si spiega facilmente da sola, pone l’accento sul ringraziamento.

L’apostolo Paolo riprende tre di queste parole scrivendo ai Filippesi: «Non siate con ansietà solleciti di cosa alcuna; ma in ogni cosa siano le vostre richieste rese note a Dio in preghiera e supplicazione con azioni di grazie» (Filipp. 4.6).

Nella preghiera, dunque, c’è posto per la richiesta di un bene particolare e per la supplicazione insistente.
Ma come non vedere in questa esortazione di Paolo un invito alla precisione?



È ben povera, alla fin fine, l’espressione familiare: «Benedici il tale, benedici questa cosa...». Applicata generosamente a tutti ed a tutto, essa rimane in una facile genericità.

Essa è sovente il segno della superficialità, in quanto dispensa colui che prega dal riflettere sulle vere necessità di coloro per i quali egli prega, dal simpatizzare con loro.

Perché non cercare di comprendere la situazione dei beneficiari della nostra preghiera per domandare a Dio la grazia precisa che loro converrebbe?

Noi possiamo, evidentemente, ingannarci su questo punto; perciò non soltanto noi avremo pregato Dio più intelligentemente, o per lo meno con maggior riflessione e serietà, ma, sforzandoci di comprendere meglio il nostro prossimo, noi l’avremo amato meglio.
La nostra richiesta se ne troverà arricchita in pertinenza, intensità e valore.

3. Una comunione

Ma, senza sottovalutare o trascurare questo aspetto della preghiera, noi dobbiamo procedere oltre, perché la preghiera è molto di più di tale aspetto: è una comunione, uno scambio tra due persone.

Non è un monologo, come sovente si pensa, bensì un dialogo nel quale il cuore parla ed ascolta, dà e riceve.

Habacuc esprime, mediante una immagine assai viva, la situazione del figlio di Dio nella preghiera: «Io starò alla mia vedetta, mi porrò sopra una torre, e starò attento a quello che l’Eterno mi dirà, e a quello che dovrò rispondere circa la rimostranza che ho fatto» (Abac. 2:1).

Il profeta ha un atteggiamento di attesa, è pronto ad ascoltare Dio, ed altresì a presentare a Lui la sua rimostranza. «Io starò attento».

L’attesa attenta spesso viene associata alla preghiera.
Gesù stesso si preoccupa di raccomandarla ai Suoi discepoli:
«Vegliate e pregate» (Matt. 26:41), e Paolo Gli fa eco: «Pregate in ogni tempo» (Efes. 6:18); «Non cessate mai di pregare» (1ª Tess. 5:17).

Una tensione, un’attenzione permanente, una vigilanza incessante: la preghiera dev’essere questo contatto ininterrotto con Dio che si manifesta ora con la parola ed ora con l’ascolto: può essere dunque silenzio, silenzio di comunione, di contemplazione, di adorazione.

I sentimenti più profondi e più forti non si esprimono mediante la parola, ma col silenzio.

Sofonia così descriveva l’amore infinito di Dio per il Suo popolo: «(L’Eterno) si rallegrerà con gran gioia per causa tua, si acqueterà nel Suo amore, esulterà, per causa tua, con gridi di gioia» (Sofonia 3:17).

Perché la preghiera dell’uomo riscattato non dovrebbe trovare l’espressione migliore in un atteggiamento simile a quello di Dio qui descritto?

«Mentre pregavo nel tempio, dice l’apostolo Paolo, ... vidi Gesù che mi diceva... » (Atti 22:17).

Dobbiamo temere che il nostro concetto della preghiera possa, talvolta, impedirci di vedere il Signore e di ascoltarLo, privandoci di uno degli aspetti essenziali del contatto con Dio e riducendo tale contatto a un semplice monologo.

Senza voler entrare nell’esperienza mistica dell’apostolo, noi dovremmo poter dire: «Mentre pregavo ho visto il Signore che mi diceva...».

Noi siamo tanto preoccupati di quello che dobbiamo dire a Dio e della maniera di dirlo, oppure abbiamo così poco tempo da dedicare alla preghiera, che dimentichiamo di ascoltare Dio.

Forse, se Gliene lasciassimo il tempo, Egli potrebbe bloccare talune delle nostre richieste che, nella Sua perfetta saggezza, Egli non vuole esaudire.

Non è forse quello che fece in altra occasione, nella vita dell’apostolo Paolo, per l’approfondimento spirituale e l’efficacia del ministerio del Suo servitore? «Perché io non avessi ad insuperbire a motivo della eccellenza delle rivelazioni, m’è stata messa una scheggia nella carne, un angelo di Satana, per schiaffeggiarmi ond’io non insuperbisca. Tre volte ho pregato il Signore perché l’allontanasse da me; ed Egli mi ha detto: “La Mia grazia ti basti, perché la Mia potenza si dimostra perfetta nella debolezza”. Perciò molto volentieri mi glorierò piutto-sto delle mie debolezze, onde la potenza di Cristo riposi su me. Per questo io mi compiaccio in debolezze, in ingiurie, in necessità, in persecuzioni, in angustie per amore di Cristo; perché, quando son debole, allora son forte» (2ª Cor. 12:7-10).

Che immenso danno sarebbe stato per lui stesso e per il mondo se Paolo non avesse capito, nella preghiera, il significato delle sofferenze che chiedeva gli fossero risparmiate per il più nobile dei motivi!

4. La preghiera e la Parola

Se pregare è prestare attenzione, vedere ed intendere, essere sensibile ai movimenti dello Spirito di Dio, è altrettanto stare in ascolto della Parola di Dio.

La Bibbia e la preghiera sono indissociabili.

Perché si formi in noi il pensiero di Cristo, il solo degno di essere espresso mediante la nostra preghiera, la Parola di Dio deve impegnarci.

È mediante le Scritture che noi comunichiamo con Dio nella preghiera. Sappiamo approfittarne a tempo.


RIASSUMENDO:

Introduzione


La preghiera è ben di più di un catalogo di necessità e di un elenco di domande; anzi, essa è un condividere, uno scambio, un momento felice che dovrebbe prolungarsi senza fine.

Le preghiere più belle che noi troviamo nella Bibbia non sono sempre delle domande rivolte a Dio, ma spesso esprimono l’ammirazione del fedele davanti a Dio ed alle Sue vie, la Sua scienza e misericordia, la Sua santità. Sono confessioni, espressioni di sofferenza a causa del peccato o della persecuzione, canti di riconoscenza, sospiri di speranza, sfoghi di amarezza.

Non che la domanda non trovi più posto nella preghiera, anzi! Ma la richiesta, per quanto inevitabile e legittima possa essere, non deve farci dimenticare che la preghiera è comunione.


Una domanda

Insistendo sulla necessità della preghiera, Paolo precisa taluni degli aspetti di essa impiegando quattro diverse espressioni: «Io esorto, dunque, prima d’ogni altra cosa, che si facciano supplicazioni, preghiere, intercessioni, ringraziamenti» (1 Tim. 2:1).

- Il primo, supplicazione, significa una richiesta particolare in rapporto ad una necessità personale.

- Il secondo, preghiera, non trova mai impiego se non nel senso di colloquio con Dio.

- La terza, intercessione, sottolinea più particolarmente il sentimento di confidenza filiale nella preghiera e presenta questa come un intrattenersi familiare del cuore con Dio.

- La quarta, infine, ringraziamenti, pone l’accento sul ringraziamento.

Ma come non vedere in questa esortazione di Paolo un invito alla precisione? È ben povera l’espressione familiare: «Benedici il tale, benedici questa cosa...». Essa rimane in una facile genericità ed è spesso il segno della superficialità, in quanto dispensa colui che prega dal riflettere sulle vere necessità di coloro per i quali egli prega, dal simpatizzare con loro.


Una comunione

Ma la preghiera è molto di più di tale aspetto: è una comunione, uno scambio tra due persone. Non è un monologo, bensì un dialogo nel quale il cuore parla ed ascolta, dà e riceve.

La preghiera dev’essere questo contatto ininterrotto con Dio che si manifesta ora con la parola ed ora con l’ascolto: può essere dunque silenzio, silenzio di comunione, di contemplazione, di adorazione. I sentimenti più profondi e più forti non si esprimono mediante la parola, ma col silenzio.

«Mentre pregavo nel tempio, dice l’apostolo Paolo, ... vidi Gesù che mi diceva... » (Atti 22:17).

Dobbiamo temere che la nostra preghiera possa, talvolta, impedirci di vedere il Signore e di ascoltarLo, privandoci di uno degli aspetti essenziali del contatto con Dio e riducendo tale contatto a un semplice monologo.

Noi siamo tanto preoccupati di quello che dobbiamo dire a Dio e della maniera di dirlo, oppure abbiamo così poco tempo da dedicare alla preghiera, che dimentichiamo di ascoltare Dio.
Forse, se Gliene lasciassimo il tempo, Egli potrebbe bloccare talune delle nostre richieste, come fece con Paolo, che nella Sua perfetta saggezza Egli non vuole esaudire.


La preghiera e la Parola

Se pregare è prestare attenzione, vedere ed intendere, essere sensibile ai movimenti dello Spirito di Dio, è altrettanto stare in ascolto della Parola di Dio. La Bibbia e la preghiera sono indissociabili.

Perché si formi in noi il pensiero di Cristo, il solo degno di essere espresso mediante la nostra preghiera, la Parola di Dio deve impegnarci.

È mediante le Scritture che noi comunichiamo con Dio nella preghiera. Sappiamo approfittarne a tempo.